Durante una cena con gli illuminati commensali della corte prussiana, era nato il progetto di un libro in cui mettere alla berlina, procedendo in ordine alfabetico, tutte le credenze, o almeno le più notevoli, di stupidi e bigotti. V. la fece propria, e negli anni successivi pensò di realizzare una sorta di edizione tascabile dell’Enciclopedia.
Il Dizionario filosofico fu dunque concepito come un modo per raggiungere un uditorio più ampio di quello che poteva avere l’opera simbolo degli illuministi. Facendo leva sul suo grande talento di volgarizzatore, V. passava in rassegna gli argomenti a lui cari. La struttura originaria dell’opera era quella di una raccolta di articoli, e per evitare di subire i fulmini della censura, V. presentava le sue opinioni più audaci attribuendole ad altri e col falso intento di criticarle.
Il bersaglio preferito di V. è rappresentato dalle grandi religioni monoteistiche. La critica procede di pari passo con l’analisi dei documenti storici, e non riguarda in alcun modo il sentimento religioso, del quale anzi si erge a difensore, quanto, piuttosto, le tante metafisiche che gli esponenti delle varie chiese hanno cercato di imporre nel corso dei secoli come verità rivelate. Contro questo enorme massa di fantasie si scatena l’irrefrenabile sarcasmo volterriano.