Nel 1875 Carlo Collodi viene incaricato dall’editore Felice Paggi di tradurre in italiano le più celebri fiabe francesi. Egli, però, farà di più: prendendo le mosse dall’edizione Hachette del 1853, Collodi non solo traduce, ma bensì ricrea e arricchisce — inserendovi anche una propria morale — alcuni fra i racconti più noti di Charles Perrault, Marie-Catherine d’Aulnoy e Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. Fra le fiabe qui incluse, si contano moltissimi grandi classici, come “La Bella e la Bestia”, “Barba-Blu” e “La bella addormentata nel bosco”. Cosa si potrebbe desiderare di più, che rileggere un’altra volta le fiabe della nostra infanzia, rielaborate però dall’ingegnosa penna di colui che ci ha regalato “Pinocchio”?
Carlo Lorenzini (1826–1890) nasce a Firenze in una famiglia di basso ceto. Studia grazie all’aiuto economico dei marchesi Ginori (per cui entrambi i genitori lavorano) e, dopo qualche anno in seminario, nel 1844 inizia a lavorare come commesso nella libreria Piatti. Inizia intanto, giovanissimo, a pubblicare i primi articoli per L’Italia musicale. Prende parte da volontario sia alla Prima che alla Seconda Guerra d’Indipendenza, affermandosi come critico, giornalista e scrittore. Nel 1883, dopo averlo pubblicato a puntate sul Giornale per i bambini, dà alle stampe il suo capolavoro, “Le avventure di Pinocchio”. Tradotto in più di trecento lingue, “Pinocchio” è anche l’opera italiana più letta al mondo, nonché il libro più tradotto di sempre dopo “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Collodi — pseudonimo tratto dal paese d’origine della madre — ha goduto in vita di enorme fama, pubblicando anche altre opere come «Il regalo di Capo d’Anno” (1884) e «L’onore del marito” (1870).