È un ritratto spietato dell’Inghilterra del ‘700. Con tutte le sue ipocrisie di corte e le ingiustizie di una società che vive la prima grande rivoluzione industriale. Come in tutte le rivoluzioni, i primi a pagare, se non gli unici, sono gli indifesi, gli invisibili, i senza voce.
Ursus è “un vecchio poeta latino”. Homo è un lupo. Insieme girovagano da una piazza all’altra della provincia inglese tirandosi dietro una baracca ambulante che è il loro tetto, il loro negozio, il loro palcoscenico. Sono soli sino a quando alla loro porta non bussa un ragazzo di appena dieci anni che è stato rapito e poi abbandonato. Ha fame. Ha freddo. Si chiama Gwynplaine. Tra le braccia stringe un fagotto e la sua faccia nasconde un terribile segreto.
Tutti, a loro modo, sono dei ribelli in un mondo in cui la crudeltà è la regola, in cui basta una parola per finire nelle mani del boia o dimenticato in una segreta. Un mondo che tollera il traffico di bambini destinati a essere trastullo di uomini, che fabbrica mostri in larga scala per popolare i caravanserragli delle fiere. Il suo “prodotto” migliore? L’uomo che ride. Una “quasi” leggenda. Il contenuto di una borraccia affidata all’oceano, sopravvissuta a centinaia di tempeste, poi ritrovata, scalfisce per un attimo le certezze di re e cortigiani, di milord e vescovi. Ma è solo un attimo. Poi è lo stesso oceano che si riprende ciò che poteva essere già suo.